Giochi Gladiatori tra Sacro e Profano

Gli spettacoli in piazza dell’antichità ebbero connotazione di matrice religiosa ed in particolare al culto funerario. Con il tempo finirono per laicizzarsi ed assunsero connotazioni più ludiche fino ad abbandonare la piazza e trasferirsi all’interno di strutture appositamente realizzate come circhi, teatri, stadi, anfiteatri e perfino le “naumachie“, bacini di acqua artificiali per le rappresentazioni di battaglie navali.
Nell’antica Roma, durante tutto il periodo della repubblica, gli spettacoli si svolgevano nel Foro, ossia al centro della vita quotidiana della città. Negli ultimi secoli della repubblica lo spettacolo era divenuto elemento fondamentale dei trionfi tanto che potevano durare ore o perfino giorni, come quello di Paolo Emilio nel 167 a.C. che durò per ben tre giorni o quello di Pompeo nel 61 a.C. per due giorni. Il tutto avveniva in un’ambientazione ed un contorno scenografico di grande effetto con esposizione di quadri dipinti e viventi che rappresentavano i popoli sottomessi, le battaglie vinte o le città conquistate; ad esempio in due dei cinque trionfi di Cesare nel 46 e 45 a.C. ci fu la sfilata di quaranta elefanti portatori di fiaccole. Per quanto riguarda i funerali, essi avevano il momento centrale proprio nel Foro con l’issamento del corpo del cadavere in posizione eretta, come se fosse vivo, sulla tribuna dei Rostri ed il parente più stretto pronunciava l’elogio funebre. Spettacoli macabri furono anche le esecuzioni capitali di massa, come quella nella guerra di Roma contro Tarquinia tra il 358 ed il 351 a.C., nella quale vi furono ben 358 prigionieri tarquiniesi fustigati e decapitati nel Foro, in risposta all’esecuzione, nel Foro di Tarquinia, di 307 prigionieri romani. Tuttavia gli spettacoli che avvenivano nel Foro, erano per eccellenza i “munera gladiatoria“, combattimenti di gladiatori, originariamente connessi ai funerali.

Importati dall’Etruria e risalenti all’uso antichissimo, soprattutto nel mondo mediterraneo, di sacrificare i prigionieri di guerra sulla tomba degli eroi, come nel caso di Patroclo cantato da Omero, queste lotte diedero vita allo “spettacolo”, che aveva lo scopo di dare all’anima del defunto la vitalità nel mondo dei morti. Esempi di spazi scenici per lotte, danze, esercizi e giochi sono state ritrovate nelle necropoli di Vulci e nei dintorni di Blera nel Viterbese.
A Roma i combattimenti di gladiatori, detti “munera“, “munus” al singolare, che significa offerta o dono, furono introdotti nel 264 a.C. in occasione dei funerali di Decimo Giunio Pera, prendendovi parte tre coppie di combattenti appositamente ingaggiati. Nel 216 a.C. per i funerali di Marco Emilio Lepido le coppie furono ventidue e combatterono per tre giorni. Nel 183 a.C. per i funerali di Publio Licinio Crasso furono sessanta e per quelli di Tito Quinzio Flaminino ben settantaquattro nell’arco di tre giornate.
A partire dal 105 a.C. i “munera” furono svincolati dalle pratiche funerarie diventando “ludi“, perché gli uomini politici si accorsero che organizzando questi giochi promuovevano la propria popolarità. Il numero dei combattenti crebbe molto, fino ad arrivare a trecentoventi, ingaggiati per ogni dove, tanto che il senato dovette fissare un numero massimo di combattenti.
In età imperiale, quando i ludi non erano più per semplici privati, il numero dei gladiatori crebbe a dismisura. Traiano per la conquista della Dacia nel 107 d.C. arrivò a far combattere ben diecimila uomini per oltre cento giorni.

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