Dai Greci agli Etruschi

La maggior parte degli storici è concorde nell’affermare che in un certo senso gli Etruschi furono i veri precursori della civiltà romana e soprattutto di quella greca. Ma chi furono esattamente gli etruschi, dove vivevano e come mai sono considerati così importanti nella storia antica? Si tratta di domande a cui solo l’accurato lavoro di storici esperti è riuscito a dare una risposta.

Gli Etruschi erano un popolo dell’Italia antica che si affermò in un’area spaziale chiamata appunto Etruria, dove questo popolo si stabilì e proliferò grazie a una cultura molto diversa, decisamente più articolata e per certi versi “moderna”, rispetto a quella dei contemporanei o delle popolazioni barbariche. L’Etruria corrispondeva all’incirca al territorio dell’attuale Toscana e dell’Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale, con estensioni in Liguria e verso la zona padana dell’Emilia-Romagna e della Lombardia. Per quanti riguarda invece la collocazione spaziale, gli Etruschi prosperarono a partire dall’VIII secolo a.C., anche se sono state ritrovare diverse testimonianze che fanno pensare a una presenza della cultura più antica della civiltà etrusca – la cultura villanoviana – già a partire dal X secolo a.C. Gli studiosi sono concordi nel sostenere che gli Etruschi, oltre a essere la più grande civiltà arcaica, gettarono le fondamenta della cultura dei popoli che seguirono, fino ai giorni nostri. Lo stesso concetto del bello, l’arte come l’espressione più alta d’umanità e genio, i Romani e i Greci lo appresero proprio da questi Popoli Italici. Certo, sia i primi che i secondi svilupparono autonomamente le proprie arti, il senso civico e sociale e il concetto di economia, ma quasi certamente ciò non sarebbe stato possibile se la civiltà greca e quella romana non si fondassero sui solidi pilastri posti dal popolo etrusco. Il retaggio etrusco è particolarmente evidente per quanto riguarda l’elemento divino. Romani e Greci, infatti, svilupparono una teogonia molto simile tra loro, che ricalcava fedelmente il modello delle divinità etrusche. La civiltà romana, poi, inizialmente si fondava prettamente sull’elemento militare e politico, e solo grazie all’influenza etrusca poté affermarsi anche dal punto di vista artistico e letterario.

Tuttavia tra gli Etruschi e i Greci, ma anche i Romani, sussiste una fondamentale differenza che inerisce alla gestione e all’organizzazione del potere. In Grecia il potere era molto strutturato, non a caso è a partire da queste civiltà che si sviluppa il concetto, prima completamente sconosciuto, di politica. Presso gli etruschi, invece, il potere non era né più forte, né del più ricco, né tanto meno di quello che grazie alla dialettica e al consenso che riusciva a conquistarsi otteneva maggior fama e successo. In Etruria, il potere era nelle mani dei più saggi e veniva affidato loro direttamente dai Lucumoni, i re sacerdoti che guidavano e rappresentavano un popolo. Forse è proprio per questo motivo che qualcuno sostiene che dopo gli Etruschi, le civiltà più che evolversi subirono una sorta di involuzione che le porto a imbarbarirsi.

Colonie Greche in Italia
La Magna Grecia

Questo anche a causa delle guerre per la conquista e la difesa dei territori conquistati in cui i due popoli erano costantemente impegnati, con grande dispendio di forse e ingenti perdite umane. Certo, rispetto agli Etruschi, i Greci raggiunsero il progresso tecnico, architettonico e soprattutto artistico, ma ciò fu anche grazie al retaggio arcaico. I Greci raggiunsero inoltre la maturità politica, creando una sorta di embrione del nostro attuale Stato.

Concetti come la burocrazia, l’impianto amministrativo e le istituzioni in Grecia furono infatti presenti a livello embrionale, e solo dopo secoli – ed eventi storici di enorme portata quali la Guerra dei Trent’anni, la Rivoluzione Francese, il Risorgimento e l’Illuminismo – raggiunsero la loro piena maturità ontologica e terminologica. Per contro, però, c’è qualcosa che i Greci persero rispetto agli Etruschi. Ai primi, infatti, mancava quel senso della realtà, quella comprensione del valore più profondo delle cose e dei rapporti umani, che dopo gli Etruschi si andò progressivamente a perdere. Il limite dei Greci – ma anche dei Romani, per molti versi simili – era quello di legare l’idea del potere politico non a quella di giustizia e ordine, bensì a quello di dominazione. Se è il caso, anche con la violenza. Se gli Etruschi sono passati alla storia come un popolo “sobrio”, per usare un verbo contemporaneo, modesto e moderato, i Greci al contrario sono ricordati per lo sfarzo della loro civiltà, per una certa tracotanza che da lì in poi verrà associata al potere, in un binomio che ancora oggi appare inscindibile, alla superbia e a una sorta di decadenza dei costumi. Laddove in Etruria il sacerdote e la sua sacerdotessa rappresentavano un esempio di morale e di giustizia, le divinità greche al contrario erano molto simili agli uomini, di cui presentavano gli stessi difetti. Erano superbi, invidiosi, lussuriosi e vendicativi, a tratti palesemente cattivi. E soprattutto, come ci riporta fedelmente la mitologia classica, avevano anch’essi una sfrenata sete di potere e dominazione. Anziché costruire città e roccaforti, accumulando tesori e depredando altri popoli, gli Etruschi preferivano praticare la sacralità, costruendo prevalentemente templi, piramidi, megaliti, nuraghe e pozzi sacri. Nessuna concessione ai sofisticati sistemi e macchinari per distruggere e fare la guerra, così cari invece a Greci e Romani. Un altra enorme differenza riguardava la figura femminile.

Se infatti in Grecia tutto quanto era percepito come importante ruotava attorno agli uomini, persino l’amore, in Etruria le donne avevano un’importanza fondamentale. Se si pensa infatti al rispetto di cui godevano le donne etrusche, appare quasi assurdo come invece nei secoli a venire le donne si trovarono a dover lottare a lungo per rivendicare i loro diritti essenziali. Già solo questo elemento indica come la civiltà greca per volti versi sia retrocessa rispetto a quella etrusca. Quest’ultima rispettava le donne perché omaggiava e venerava la Madre Terra, nella quale riconosceva il principio femminile divinizzato nella sua funzione di creatrice della vita. Non da ultimo i Poemi Omerici, che hanno consegnato alla storia gli eroi greci, sono anch’essi figli naturali della civiltà arcaica degli Etruschi, i cui miti e la cui simbologia hanno improntato di sé il mondo che sarebbe venuto, regalandogli, accanto a una cultura straordinaria, un impianto di valori che purtroppo però si è progressivamente dissipato.

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Anna Bolena e le Guerre per il Dominio dell’Inghilterra

L’evoluzione sociale ed i veloci cambiamenti che si possono riscontare nella quotidianità, hanno influito e stanno influendo in modo significativo sulle abitudini delle persone. Tali caratteristiche però, anche se in continuo mutamento, portano con sé un periodico riscontro storico; le quali, come in un ricordo distorto, si ripresentano periodicamente nel corso del tempo. Tra le periodicità su cui questa peculiarità viene maggiormente a presentarsi è la guerra, questa nel corso della storia sempre presente e dalle caratteristiche inconfondibili, ha regalato storie indimenticabili su cui poesia e leggende abbracciano la realtà. Nelle prossime righe ci focalizzeremo sul periodo storico in cui le guerre per il dominio dell’Inghilterra hanno donato storie affascinanti e su cui molti lettori riscontreranno similitudini attuali; in particolar modo analizzeremo la storia di Anna Bolena, personalità di spicco ed eclettica figura storica.

In molti casi le storie più interessanti sono collegate maggiormente alle figure secondarie che non al protagonista; è il caso anche del re Enrico VIII, questi celebre non solo per la sue capacità di regnare ma soprattutto per le sue attitudini nel cambiare consorte. Tra le tante mogli che hanno influito sulla sua politica, Anna Bolena è certamente tra le donne con cui il re ha subito un fascino maggiore. Anna Bolena nacque nel 1501 (1507 secondo alcuni scritti antichi) nel castello di Hever nel Kent, il nome inglese Anne Boleyn è stato italianizzato per convenzioni letterali; grazie alla discendenza nobile è sempre stata in contatto con ambienti di alto livello, distinguendosi come letterato sia nella cultura inglese che francese. In giovane età si è unita in moglie con Enrico VIII e fu regina di Inghilterra e di Irlanda per tre anni, precisamente dal 1533 al 1536; tale unione comportò non pochi sconvolgimenti religiosi e politici. Tra gli eventi più significativi vi è lo Scisma anglicano, in cui la Chiesa Inglese decise di porre fine al rapporto con la Chiesa Cattolica Romana.

In questo clima di estrema tensione politica e religiosa, nel 7 settembre del 1533 nacque Elisabetta I, cocente delusione per il re Enrico VIII che dopo anni di turbolenti litigi con la precedente moglie Caterina per l’impossibilità di regalargli un erede maschio, ora è di nuovo alle prese con un erede di sesso femminile. Anna Bolena dopo la nascita di Elisabetta I, temeva per la successione da principessa di sua figlia, immaginando la preferenza di Enrico VIII per la precedente figlia scaturita dall’unione con Caterina. Al fine di evitare problematiche di sorta, il re decise di separare le due figlie e ciò comportò un incrinamento del rapporto con la moglie; già di fatto incrinato a causa delle continue infedeltà.

Anna Bolena ed Enrico VIII

Il rapporto tra i due durò solo tre anni, Enrico VIII ormai sconfortato dall’impossibilità di ricevere un erede maschio iniziò il suo piano per liberarsi di Anna Bolena e di prendere in moglie la nobile Jane Seymour. Tra le infinite accuse che il re attribuì ad Anna, le più celebri sono sicuramente: la stregoneria, l’infedeltà e la cospirazione verso il re. Queste calunnie portarono alla conseguente chiusura nella torre di Londra, dove successivamente venne giudicata e nel 19 maggio del 1536 venne decapitata all’età di 29 anni sotto la crudele lama di una spada.

Nelle righe precedenti abbiamo visto, anche se in breve, quali possono essere i rapporti tra personaggi storici, a volte conflittuali, spesso infantili; importante però analizzare tali comportamenti con un occhio più attento, ponendo l’accento sul contesto storico in cui tali avvenimenti sono avvenuti. La forte matrice anglicana di Anna Bolena, non solo ha influito in modo significativo sul potere spirituale di Enrico VIII, ma ha posto le basi di un cambiamento epocale sulla cultura inglese e le potenziali ripercussioni di lotta con la chiesa Cattolica. La vita particolarmente libertina di Enrico VIII può essere anche schernita ed in qualche modo parodizzata, ma gli effetti e le conseguenze storiche che il rapporto con Anna Bolena hanno apportato alla storia sono indelebili. Ciò pone in evidenza la forza delle grandi personalità nel cambiare gli eventi della storia; per alcuni storici i soli tre anni di matrimonio tra i due non possono aver influito così tanto sulle guerre inglesi con la Chiesa e l’economia nazionale, eppure i dati mettono in luce il grande impatto emotivo che tali eventi hanno provocato. La figura di Anna Bolena però non si limita al solo Enrico VIII, tale personalità ha influito in modo significativo anche sulla poesia e sui miti che nel tempo sono stati tramandati. Tra le tante calunnie a cui Anna dovette sottostare ci fu quella di un possibile rapporto con il poeta Thomas Wyatt, confermato molti anni dopo dal nipote George Wyatt; questa informazione potrebbe risultare poco importante ma è interessante soffermarsi sull’importanza di Thomas Wyatt nella letteratura rinascimentale inglese. Questi infatti introdusse in Inghilterra la lirica petrarchesca e attraverso il sonetto, aprì alla grande storia poetica di fine Cinquecento, sfociata poi nei più illustri Shakespeare e Spenser.

La conclusione di questo articolo è facilmente deducibile; per quanto le guerre per il dominio inglese siano state infinite e dai risultati imprevedibili, il legame che c’è tra tutti gli avvenimenti è da ricercare nelle persone e nella loro grande personalità. I comportamenti e le conseguenti applicazioni reali sul campo di battaglia o nelle implicazioni politiche, sono sempre e saranno sempre influenzate da pensieri personali forti. Oggi abbiamo preso in esame il caso di Anna Bolena, ma le guerre inglesi sono caratterizzate da diverse personalità influenti e su cui anche oggi nella quotidianità si sente ancora un’aura ben presente.

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I Romanzi non Veristi di Verga

Quando ci si riferisce a Giovanni Verga, solitamente è per parlare del Verismo: ossia la corrente letteraria da lui fondata e che emerge dalle opere che narrano vicende raffiguranti scene di normale quotidianità come, ad esempio, il suo più noto capolavoro I Malavoglia.
Ma il drammaturgo siciliano aveva iniziato a scrivere in stile romantico, come si evince dalla sua opera I Carbonari della Montagna, un testo che si può considerare redatto in uno stile dove emerge il romanticismo più retorico ricettivo di quegli influssi esagerati che originarono, più tardi, la sua decadenza.

Verga, dopo la formazione sviluppata nella sua Sicilia, si trasferì a Firenze, all’epoca Capitale del Regno d’Italia, dove scrisse diversi romanzi. Fu solamente quando si mosse per Milano, dove visse per un ventennio, che fu influenzato dalla Scapigliatura editando romanzi come Eros, Una Peccatrice, Tigre Reale, Eva, Storia di una Capinera.
Scritti questi, che fanno parte di quella letteratura definita “preverista”. Si tratta di opere che, in qualche modo, sono somiglianti tra loro in quanto, i vari protagonisti descritti, presentano caratteristiche riconducibili allo stesso Verga. Infatti hanno come denominatore comune, l’obiettivo di godere di una vita luminosa che però nella maggior parte dei casi, veniva a morire a causa dell’oggettività di una realtà che annichiliva quel desiderio.

C’è da precisare che le prime opere dello scrittore sono improntate a quell’epopea romantica appartenente al periodo del Risorgimento dove trovano spazio la poesia ed il pensiero.
Questo elenco deve comprende i già citati “I Carbonari della Montagna”, Amore e Patria, Una Peccatrice, Sulle lagune e Storie di una Capinera.
In stile scapigliato sono invece queste opere che lasciano trasparire una significativa passionalità: Eros, Tigre Reale, Eva.

Giovanni Carmelo Verga (Catania, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922)

La prima descrive le passioni morbose di un nobile, corrotto dalla società, che è fortemente attratto dalla cugina e da una sua amica. La storia termina con il suicidio del protagonista.
Tigre Reale racconta la storia di un poeta innamorato di una nobile russa divoratrice di uomini che, ammalata di tisi, troverà la fine prematuramente mentre lui, redento, rientrerà in famiglia.
Eva narra l’amore di un pittore per una ballerina che impersona il simbolo della corruzione all’interno di un contesto totalmente materialista. Il pittore, divenuto famoso e ricco, continuerà a non essere capace di amare Eva e per questa ragione, scapperà in Sicilia dove si lascerà morire. Si tratta di un romanzo quasi autobiografico dove il pittore, animato da artistici ideali, si scontra con una società che lo emargina e lo declassa. Incominciato a Firenze e terminato a Milano, è nel tipico stile che contraddistingue la Scapigliatura.
Nel 1866 Giovanni Verga pubblica un romanzo che dopo ripudierà: si tratta de Una Peccatrice, una sorta di autobiografia dove lo scrittore, in uno stile melodrammatico e significativamente enfatico, racconta la storia di un intellettuale siciliano che raggiunge ricchezza e notorietà e che tuttavia si suicida a causa del rifiuto ricevuto dalla donna amata.

Più noto è il romanzo Storia di una Capinera che ebbe un ottimo riscontro sin dalla sua prima edizione del 1871. Anche in questo caso la trama verte su di un impossibile amore.
Tutte le opere sopra citate possono inserirsi in quel clima definito tardo romantico dove il denominatore comune è costituito da un mix costituito dall’atmosfera bohèmieme, dalle ambientazioni nobiliari e dalle passioni violente descritte in modo enfatico ed esagerato; praticamente tutto agli antipodi dello stile francese del Naturalismo che si stava distribuendo in tutto il Vecchio Continente come un virus.
Merita una speciale annotazione la novella Fantasticheria scritta prima del 1878, ossia precedentemente alla nascita del verismo.
Questa novella fa parte della raccolta Vita dei campi ma è straordinaria in quanto si tratta di un unicum per via del modo con la quale è redatta, ossia come una lettera destinata ad una dama della borghesia che scappa dopo solo due giorni trascorsi in una piccola cittadina siciliana (Aci Trezza) in quanto annoiata da come si vive in quel luogo.
Appare evidente, leggendo tra le righe di questa novella, che traspare un abbozzo de I Malavoglia, come si evince dai tratti caratteriali di alcuni personaggi. L’idealizzazione di questo mondo rurale appartiene a quel concetto del tardo romanticismo che vede ancor riconosciute, le peculiarità delle classi rurali che sono le portatrici sane di valori legati al sentimento e alla positività, tanto da essere romanticamente idolatrate.

Nel 1878 avviene la svolta Verista di Verga con la redazione del racconto Rosso Malpelo. La storia è quella di un giovane minatore destinato a vivere nel duro e disumano ambiente dello sfruttamento del duro lavoro in miniera. Verga cambia radicalmente lo stile del linguaggio fino a quel tempo da lui utilizzato che, in Rosso Malpelo, appare duro come quello utilizzato nella narrazione popolare. In questa storia non ci sono più i barocchi e lussuosi arredi accuratamente descritti nelle opere precedenti, dove il gusto per una ridondante ricchezza era ben presente, ma tutt’altro. È l’opera prima dello stile del Verismo dove Verga spersonalizza il racconto narrando oggettivamente scenari reali e non più artificiose passioni tanto raffinate quanto anacronistiche.

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