Il Poema Epico Cavalleresco

A chi si domanda quale sia la storia del poema epico cavalleresco, non si può che rispondere che questo genere di letteratura nacque alla metà del XV secolo.
Fino ad allora, i poeti si dedicavano a scrivere i ‘cantari’, ossia dei testi che venivano cantati nelle piazze davanti ad un pubblico curioso di sapere le epiche gesta di cavalieri.

I cantari nascono per raccontare la storia delle gesta di Carlo Magno anche se poi, ogni cantare, conterrà anche storie d’amore che si svilupperanno attraverso episodi consequenziali che permettono, al cantare, di esibirsi sulle piazze in modo continuativo.
L’evoluzione del cantare si raffinerà trasformandosi grazie alla messa per iscritto queste storie che saranno indirizzate verso il più colto pubblico dei cortigiani che avranno la possibilità di leggere i cantari che diventeranno ‘poemi epici cavallereschi’.
In Italia, il poema epico nasce a metà Quattrocento, è del Pulci il primo poema cavalleresco. Si tratta de il ‘Morgante’ che raggruppava ventitré cantari nella sua prima edizione, che divennero ventotto in quella definitiva. L’autore rispetta la consuetudine del cantare, ognuno è un episodio che ha una sua trama (inizio, tema centrale, fine) anche se tutti hanno come denominatore il tradimento di Gano che si sviluppa nel contesto della guerra condotta da Carlo Magno contro i Mori.
All’interno dei cantari si sviluppano storie d’amore tra cavalieri e loro dame e storie di magia tipicamente medievale legate a Morgante e Margutte. Non va scordata l’origine del poema cavalleresco che proviene dalla Francia del XI e XII secolo, la cui più evidente testimonianza è tratta dalle Chanson de Geste, che raccontano gli eroi di quell’epoca feudale che sono, ovviamente, leali e pronti all’estremo sacrificio per proteggere la fede cristiana contro gli arabi infedeli.

In Italia – in particolar modo in Toscana e al nord – avviene la prima comparsa dei cantari prima e del poema epico cavalleresco dopo, grazie ad autori come il Pulci, l’Ariosto, il Boiardo e il Tasso che compongono opere destinate a restare nella storia della letteratura.
In Toscana alla metà del XIV secolo, i canterini che girano per borghi e cittadelle a cantare le storie tratte da testi francesi, incominciano ad usare le rime per mettere in versi comprensibili i loro racconti. Da questo fenomeno nascono i ‘cantari’, che permettevano al popolino di ascoltare vicende molto romanzate a mo’ di spettacolo.
Da quello che era un poema epico che magnificava le gesta di eroici paladini che difendevano la religione e la loro terra, si passò a narrazioni molto simboliche che utilizzavano elementi fantastici per risultare riccamente affascinanti ma che erano altrettanto improvvisate. I testi si possono catalogare in tre segmenti che sono:
– Il ciclo bretone
– Il ciclo carolingio
– Il ciclo classico

Il ciclo bretone è caratterizzato dai personaggi che ne sono i protagonisti: re Artù, i cavalieri della Tavola Rotonda, Tristano e Isotta. Inoltre ci sono narrazioni di remote leggende legate ai miti celtici.
Il ciclo carolingio è detto tale in quanto racconta le vicende del paladino Rolando durante la guerra di Carlo Magno contro la minaccia dei mori. Il fulcro del ciclo bretone è riconducibile alla morte eroica di Orlando che, a capo della retroguardia dell’esercito carolingio, fu ucciso sui Pirenei nella gola di Roncisvalle. Come si ha modo di capire, questo è un vero momento storico.
Il ciclo classico si rifà alla rielaborazione di leggende della tradizione greca-bizantina. Abbiamo quindi Alessandro Magno, la guerra di Troia ma anche Enea e altre figure mitologiche.

Abbiamo visto che le differenze che intercorrono tra i cantari e il poema epico cavalleresco sono: i poemi epici sono storie scritte a differenza dei cantari che sono solamente orali e il diverso tipo di pubblico (cortigiani per i poemi, popolare per i cantari). A queste va aggiunto il fatto che il poema epico viene commissionato apposta per elogiare il signore che sarà il protagonista della vicenda e, quindi, ha un carattere enconomiastico.
Nel 1483 Matteo Maria Boiardo scrive “L’Orlando innamorato” che racchiude una serie di avventure ricche di duelli, amori e magie in un genere che oggi potremmo definire come “fantasy”. È scritto in versi da otto rime e composto da tre libri di cui l’ultimo incompiuto (rispettivamente di 29, 31 e 8 canti) da cui l’Ariosto trarrà spunto per il più famoso “L’Orlando furioso”.
Tuttavia sono i personaggi descritti dal Boiardo ad essere il valore aggiunto dell’opera perché offrono uno spaccato della loro personalità capace di superare il Medioevo ed il successivo Rinascimento.
Il testo utilizza la lingua volgare padana dal momento che all’epoca ancora non era in essere la teoria che la lingua italiana doveva fondarsi esclusivamente sul toscano di Dante.
La differenza che Boiardo riesce ad avere con i testi precedenti è originata dal fatto che ha coniugato elementi appartenenti al ciclo bretone a quelli del ciclo carolingio. Inoltre ha innestato il sentimento evidenziandolo in modo esponenziale tanto che è l’amore ad essere il fulcro dell’intera opera.

L’Ariosto, trae ispirazione per scrivere il suo poema epico cavalleresco de “L’Orlando furioso” all’opera del Boiardo, riprendendone il tema ma inserendo anche elementi classici.
Lo scrittore si basa sul principio di imitazione umanistico proprio dell’epoca del Rinascimento e affonda a pieni mani sugli scritti di Ovidio (Le Metamorfosi) e di Virgilio (L’Eneide). La trama è sempre riconducibile alla guerra tra i Saraceni e Carlo Magno, a partire con l’assedio di Parigi e a questa si innesta l’amore per Angelica da parte di Orlando e la sua pazzia e la storia di Ruggero e Bradomante.
Per concludere occorre ricordare che il contesto italiano del XV secolo vede il Medioevo giungere quasi al termine mentre si assiste alla nascita dell’Umanesimo e del Rinascimento che rivoluzioneranno la cultura anche nelle sue opere.

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