La scoperta di un nuovo passato

Quella grotta in fondo aveva qualcosa di misterioso, ma non seppi resistere dal desiderio di scoprire cos'era.

Non so bene cosa mi abbia spinto fin lì, tra quei sentieri di pietra e muschio, nel silenzio gelido delle montagne. Era uno di quei pomeriggi in cui il cielo sembra trattenere il respiro, e io avevo deciso di esplorare il territorio vicino casa, come facevo spesso quando volevo stare da solo.

Il vento era tagliente, e le foglie secche danzavano tra i miei passi. Conoscevo quei luoghi, o almeno pensavo di conoscerli. Ma quel giorno qualcosa era diverso. Un sentiero che non avevo mai notato prima si apriva tra le rocce, stretto e in salita. Lo seguii, senza pensarci troppo, immaginando che potesse portare a qualche rifugio segreto o a un punto panoramico nascosto.

Dopo qualche minuto di cammino, la vegetazione si diradò e mi trovai davanti a una parete rocciosa. Sembrava chiusa, impenetrabile. Ma poi la vidi: una fessura, un pertugio appena visibile, da cui filtrava una luce azzurra, fioca e tremolante.

Mi avvicinai, con la stessa eccitazione che provo quando scopro un passaggio segreto nei libri d’avventura. La grotta era silenziosa, avvolta da un buio profondo. Le pareti erano umide, fredde, e l’aria immobile. Eppure quella luce mi chiamava. Era qualcosa d’altro. Qualcosa che aspettava.

Respirai a fondo, e con il cuore che batteva forte, entrai. I miei occhi si abituarono lentamente all’oscurità, e il silenzio sembrava inghiottire ogni mio pensiero. Poi la scorsi: in lontananza, tra le ombre, quella stessa luce azzurra, fioca ma persistente, che tremolava come una fiamma fragile.

Era lì, più profonda di quanto avessi immaginato. La luce sembrava pulsare piano, come se respirasse. Feci un passo, poi un altro, cercando di non fare rumore, anche se non sapevo da cosa stessi cercando di nascondermi. Le pareti si stringevano attorno a me, e il suono dei miei passi era ovattato, come se la grotta assorbisse ogni cosa.

Il passaggio si faceva più stretto, poi improvvisamente si aprì. Davanti a me si estendeva una camera naturale, scavata nella roccia, ampia e silenziosa. La luce azzurra proveniva da un punto preciso, sul fondo, e illuminava debolmente le pareti irregolari, rivelando forme e ombre che sembravano muoversi appena.

Mi fermai sull’ingresso della camera, con il fiato sospeso. I miei occhi si posarono su qualcosa che non avevo mai visto prima, qualcosa che non sapevo nemmeno come chiamare.

Al centro della camera, piantato nel terreno, c’era un palo scuro, dritto come un bastone di ferro, che teneva sopra una specie di palla di vetro. Sembrava una bolla, ma non si muoveva. Dentro, c’erano un sacco di fili, tutti azzurro scuro, che si intrecciavano come serpenti, come radici, come disegni che cambiavano ogni volta che li guardavo.

Non era una lampada, né un oggetto da casa, né qualcosa che avevo visto nei negozi o nei film. Era strano, ma non brutto. Mi dava una sensazione come di attesa, come se quel coso mi stesse aspettando da sempre.

Poi successe qualcosa. Un suono leggero, come un sussurro, riempì la camera. Non veniva dalle pareti, né dall’aria. Veniva da lì, da quella palla di vetro. Era una voce, strana e calma, che parlava piano, come se non volesse spaventarmi.

Non capii subito le parole, ma sentii che mi stava parlando. A me. Rimasi fermo, con la bocca aperta e il cuore che batteva forte. E poi, senza pensarci, risposi.

Mi sentivo strano. Le gambe tremavano un po’, e il cuore sembrava voler uscire dal petto. Avevo paura, ma non quella paura che ti fa scappare. Era una paura che ti tiene fermo, che ti fa ascoltare.

Poi la voce tornò, più chiara, più forte. “Chi sei? Avvicinati!”

Mi bloccai. Non sapevo se dovevo davvero farlo. Ma qualcosa dentro di me diceva che non ero lì per caso. paura, ma non quella paura che ti fa scappare. Era una paura che ti tiene fermo, che ti fa ascoltare.

Poi la voce tornò, più chiara, più forte. “Avvicinati!”

Mi bloccai. Non sapevo se dovevo davvero farlo. Ma qualcosa dentro di me diceva che non ero lì per caso.

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