Nella mitologia delle tribù dei grandi laghi Africani, le divinità della natura sono concepite come spiriti di antichi re che hanno conservato parte del loro potere sulla terra.
Si narra che un tempo una ragazza baronga fu mandata dalla madre a prendere dell’acqua alla fonte con un’anfora: una tipica giornata di vita quotidiana Africana. Per sbaglio l’anfora le cadde e si ruppe in molti pezzi. Disperata si mise a piangere fino a quando non vide una lunga fune calata dal cielo. Vi si arrampicò ed arrivò in uno strano villaggio dove una vecchia le disse di non cacciare via una formica che le sarebbe arrivata fino all’orecchio, perché questa le avrebbe detto cosa rispondere alle domande dei vecchi del villaggio. La ragazza si incamminò allora verso il centro del villaggio e non scacciò la formica che intanto le stava salendo dalle gambe fino alle orecchie, così come le aveva predetto la vecchia. Ad un certo punto la formica le suggerì di entrare in una capanna dove c’erano dei vecchi che le chiesero: “Perché sei giunta fino in cielo?” e lei rispose: “Per cercare un bambino”. Nelle ore successive una donna le chiese di andare a raccogliere delle pannocchie e di fare della polenta, la ragazza ubbidì. Come ringraziamento le proposero di restare per la notte. Il giorno dopo i vecchi del villaggio la condussero in una grande casa dove c’erano molti bambini coperti con delle stoffe bianche e rosse. I vecchi le chiesero di scegliere un bambino ed ella scelse uno coperto da una stoffa bianca. In questo modo poté ritornare sulla terra con il bambino, un carico di perle e di stoffe, così tante da farla diventare ricca per tutta la vita. Arrivata al suo villaggio raccontò tutto, sua sorella decise allora di andare anch’essa in cielo. Salì la fune, ma non si fermò dalla vecchia all’inizio del villaggio, cacciò dall’orecchio la formica e rispose male ai vecchi. Infine distrusse il campo di mais quando le chiesero di raccogliere le pannocchie per fare la polenta e scelse un bambino nella stoffa rossa. A questo punto una grande esplosione la uccise. Un vecchio pietoso raccolse le sue ossa e le portò fino alla capanna della madre dicendo che era stata talmente cattiva che il cielo si era adirato con lei.
Una volta accadde che nella foresta non piovve per giorni e giorni, tutte le specie animali si riunirono per invocarla. A turno, dai più grandi ai più piccoli, si misero a chiamare la pioggia. Gli elefanti prima, i rinoceronti poi e le giraffe si misero ad urlare al cielo. Arrivò il turno delle rane che si misero a gracidare per ore. Durante questo periodo le nubi cominciarono ad incupirsi e le rane chiesero agli altri animali di scavare delle buche per raccogliere l’acqua che di lì a presto sarebbe venuta. Effettivamente l’acqua arrivò a catinelle e riempì le buche. A questo punto le rane dissero agli altri animali che ora potevano andare nelle praterie perché avevano avuto quello che chiedevano. Le rane che avevano saputo far piovere il cielo rimasero per sempre nelle buche, nel fango dei grandi laghi formatisi dall’abbondante pioggia. Per questo le rane da sempre vivono negli stagni e quando si sentono gracidare significa che la pioggia è vicina.